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Feste di nozze

Feste di nozze a Roma nel XVI e XVII secolo: la pittura racconta

4 aprile 2004

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Giulia Grassi

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Per quattro secoli, tra XV e XVIII secolo, a Roma ogni avvenimento, sacro e profano, è stato un pretesto per inscenare una festa: l’elezione, e la morte, di un papa, la cerimonia di canonizzazione di un santo, ricorrenze religiose come il Corpus Domini; ma anche la nascita di un erede al trono, le incoronazioni e le nozze di principi e sovrani, i loro funerali; e, naturalmente, il Carnevale.

Feste si realizzavano in tutta Europa, ma quelle di Roma erano senza confronti: qui, per ragioni di prestigio, offrivano feste grandiose non solo il papa e gli aristocratici romani, ma anche i sovrani stranieri, che esprimevano in tal modo la loro potenza e ricchezza (i re di Francia e Spagna si scontravano, a suon di feste, soprattutto in Piazza di Spagna).

Le feste coinvolgevano tutta la popolazione, avevano come palcoscenico alcuni spazi urbani privilegiati (Piazza Navona, Piazza di Spagna, Piazza San Pietro, Piazza del Popolo e via del Corso) ed erano ideate da grandi artisti, ad esempio Pietro da Cortona, Carlo Rainaldi, Carlo Fontana e, sopra tutti, Gian Lorenzo Bernini. Accanto ai grandi artisti c’erano gli artigiani che realizzavano grandi apparati effimeri, cioè vere scenografie a grandezza naturale in legno, gesso e cartapesta destinate ad essere smantellate alla fine dei festeggiamenti.

Anche i matrimoni degli aristocratici, inutile dirlo, erano accompagnati da grandi festeggiamenti. Le cronache scritte, ma in alcuni casi anche quadri, disegni e incisioni, permettono di farcene un'idea.

Ad esempio, del grande torneo tenuto nel cortile del Belvedere il 5 marzo 1565, durante il Carnevale, con lo scopo di solennizzare le nozze celebrate due mesi prima tra Annibale Altemps, generale della Chiesa, e Ortensia Borromeo, sorellastra del celebre arcivescovo di Milano, Carlo. Le nozze avevano avuto lo scopo di riconciliare le due grandi famiglie, che si contendevano i favori del papa Pio IV.

Il torneo era avvenuto alla presenza del papa, dei cardinali, degli ambasciatori e di un folto e nobile pubblico. Era stato particolarmente sfarzoso: i palchi erano addobbati da arazzi preziosi, i costumi dei cavalieri e le bardature dei cavalli offrivano uno spettacolo di varietà nei colori e nei materiali, con abbondanza di velluti, veli, merletti, reti, fiocchi d'oro e d'argento, specchietti, perle, pietre e piume policrome.



Nel Medioevo i tornei avevano un carattere sportivo (mostrare destrezza nel cavalcare e nel maneggiare le armi) ma durante il XVI secolo si erano arricchiti di elementi teatrali, con parti recitate, carri allegorici, cortei di personaggi e fuochi d'artificio: una spettacolarizzazione che, nel secolo successivo, si realizzerà pienamente nelle "giostre" e nei "caroselli" organizzati dagli aristocratici.

Una delle più famose giostre barocche è la giostra del Saracino allestita a Piazza Navona il 25 febbraio 1634 dal cardinale Antonio Barberini, ancora durante i festeggiamenti per il Carnevale. Lo spettacolo era stato organizzato per il principe Alessandro Carlo di Polonia, ma anche se questi era partito improvvisamente due giorni prima, la giostra si era tenuta ugualmente: infatti, essa aveva anche lo scopo di celebrare degnamente il matrimonio tra il Prefetto di Roma Taddeo Barberini e Anna Colonna, cioè due esponenti delle più importanti famiglie aristocratiche dell'epoca. Due grandi quadri e le fonti scritte descrivono accuratamente sia i preparativi che lo svolgimento della festa, il cui allestimento era stato curato da letterati e artisti in collaborazione.



A. SACCH I - F. GAGLIARDI, Giostra del Saracino a piazza Navona il 25 febbraio 1634, prima metà del XVII secolo (Roma, Museo di Palazzo Braschi). In basso a destra evidenziato il particolare della nave.

A quella data la piazza aveva un aspetto molto diverso rispetto a quello odierno (vedi: Una piazza per i Pamphilj).

Per la giostra la piazza era stata trasformata in un enorme palcoscenico: era stato costruito un recinto rettangolare con palchi in legno lungo i lati per far sedere il pubblico scelto dei nobili, tutti agghindati. Il popolo, invece, si arrangiava dove poteva, perfino sui tetti dei palazzi.

La sfida consisteva in una prova, tre colpi di lancia al Sarracino (una sagoma al centro dello spazio). Alla Giostra avevano partecipato 24 cavalieri divisi in 6 squadriglie, ognuno con un seguito di 42 persone tra padrini, paggi, staffieri e trombettieri. Ogni squadra si distingueva per il colore degli abiti e per le diverse forme dei copricapo.

La squadra detta Romana aveva abiti di colore porpora (tipico di Roma antica) con corazze finemente cesellate e gli elmi con piume dello stesso colore; quella di Provenza aveva abiti di colore turchino e argento, tempestati di pietre preziose e perle; quella di Pertinace, abiti di colore bianco e rosa con ricami d'oro, d'argento e perle, e un elmo scuro con piume bianche.

La squadra dei Re prigionieri indossava vesti color “rosino” e una corona d’oro con piume gialle; quella di Scitia, vesti coperte di scaglie d’argento, mantelli ornati con pelli di lupo e elmi decorati con piume bianche e nere; infine, quella d’Egitto indossava abiti di raso arancione ricamati in oro e un enorme copricapo composto da 600 penne.

Alla fine della Giostra, vale a dire alle 11 di sera, era entrata in campo una nave con ninfe, pastori, satiri, musicanti e ballerini. Era bellissima: a poppa c'era un trono, a prua una Sirena che reggeva il Sole e la Colonna, emblemi araldici dei Barberini e dei Colonna; sartie, corde e scale erano tutte d’argento. La nave era entrata nel recinto sparando dai cannoni di cui era dotata ed ondeggiando come se fosse spinta dalle onde, dipinte nella parte inferiore e che in realtà nascondevano ruote spinte da facchini. Era illuminata dalle torce di 16 pescatori vestiti d’azzurro con squame d’argento, che le camminavano al fianco.

Più tardi questa meraviglia era stata portata in giro per la città, mentre i partecipanti alla Giostra si recavano al ricevimento offerto da Anna Colonna.


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