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Il caso Moro: i fatti

55 giorni che hanno cambiato l'Italia

16 marzo 2016

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Roberto Tartaglione

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Il 16 marzo del 1978 in Italia doveva nascere il primo governo di Solidarietà Nazionale, una specie di "Große Koalition": la Democrazia Cristiana, il principale partito di Governo dal 1946, per la prima volta nella storia della Repubblica avrà l'appoggio del Partito Comunista, il principale partito di opposizione. A ideare la Solidarietà Nazionale è stato il presidente della DC: Aldo Moro.

Quella stessa mattina però un telegiornale straordinario dà notizia di un fatto che avrebbe poi cambiato la storia d'Italia: Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana, mentre va in Parlamento per avviare il nuovo Governo, è stato rapito dalle Brigate Rosse, l'organizzazione terroristica più potente di quegli anni. In un agguato organizzato con efficientissima "tecnica militare", in via Fani i cinque uomini della scorta vengono uccisi: Moro è caricato su un'automobile e portato via.


Via Fani poco dopo l'agguato: la scorta di Moro sterminata e il Presidente della DC rapito. Wikipedia, pubblico dominio

Il giorno 18 marzo arriva il Comunicato n. 1 delle BR, con una foto che dimostra che il politico è ancora vivo.

Foto di Moro prigioniero delle Brigare Rosse, Wikipedia, pubblico dominio

Quella stessa mattina il Ministro degli Interni Francesco Cossiga organizza un Comitato Speciale (coordinamento fra polizia, carabinieri e guardia di finanza) per gestire il caso Moro. Al comitato partecipano anche esponenti di servizi segreti inglesi, tedeschi e soprattutto americani.

Da quel giorno in poi, per 55 giorni, l'Italia è come paralizzata: esercito, forze dell'ordine, servizi segreti italiani e stranieri sono tutti alla ricerca della prigione dove è tenuto l'uomo politico.

Il 26 marzo arriva il Comunicato n. 2 delle BR: è cominciato il processo del popolo contro Aldo Moro ritenuto responsabile di 30 anni di politica democristiana e importante esponente del "SIM" (Stato Imperialista delle Multinazionali).



Il mondo politico si spacca sostanzialmente in due: da un lato c'è chi sostiene che bisogna trattare con le Brigate Rosse per la liberazione di Moro e dall'altro chi sostiene che con i terroristi non si deve trattare mai (i più intransigenti per una politica della "fermezza" e della non-trattativa sono proprio democristiani e comunisti).

Per lunghissime settimane la storia continua senza mai sbloccarsi: Moro scrive più di 80 lettere a politici, a familiari, ad amici e perfino al Papa per indicare una soluzione e per suggerire come avviare una trattativa. Le Brigate Rosse continuano con i loro comunicati ad informare i giornali e l'intera nazione sul processo ad Aldo Moro.

Nel Comunicato n. 6 (15 aprile) si dà l'annuncio che il processo è terminato e che il prigioniero è stato condannato a morte. Per tutte le settimane successive vanno avanti indagini, proposte di scambi prigionieri, contatti col Vaticano, complicati tentativi di soluzione della situazione. Ma lo Stato sostanzialmente ha deciso di non trattare.



Il 5 maggio arriva il Comunicato n. 9, l'ultimo: "Concludiamo la battaglia iniziata il 16 marzo, eseguendo la sentenza a cui Aldo Moro è stato condannato"

Il giorno 9 maggio ecco la tragica conclusione della storia. Il prof. Tritto, amico e collaboratore di Aldo Moro, riceve l'ultima telefonata dalle Brigate Rosse.


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