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Il piè di marmo in Campo Marzio

Storia di un piede di marmo e qualche informazione sulle calzature degli antichi romani

20 gennaio 2008

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Giulia Grassi

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A Roma, si sa, le strade hanno spesso nomi bizzarri. In Campo Marzio, poco lontano dal Pantheon, c'è via del pie' di marmo, che deve il suo nome a un grande piede marmoreo poggiato su un piedistallo.



Il piede è quello che resta di una statua colossale che, quasi sicuramente, proviene da un grande tempio dedicato a due divinità egizie, Iside e Serapide, che si trovava proprio in questo luogo, ed era conosciuto come Iseo Campense.

Cosa rappresentava la statua colossale? È difficile dirlo.

Gli studiosi discutono: era una statua maschile o femminile? Di una divinità o di un sacerdote (o sacerdotessa)? Rappresentava una figura in piedi o seduta? Secondo alcuni studiosi rappresentava, forse, proprio la dea Iside.

La statua di culto di Iside, che decorava l'Iseo, è andata perduta, ma nel Palazzo Nuovo dei Musei Capitolini c’è una Statua di Iside in marmo che è la sua copia.



Nell'Iside capitolina a dea indossa una tunica a maniche lunghe e un mantello, che le copre la testa e ha le estremità che si incrociano tra i seni formando il cosiddetto “nodo isiaco”; nella mano destra sollevata stringe il sistro (lo strumento in metallo tipico della religione isiaca), nella sinistra una brocchetta; ai piedi porta sandali infradito.

Il grande piede in Campo Marzio è quello che resta della statua di culto perduta? Di certo apparteneva a una statua colossale, e questo fa pensare che la scultura rappresentasse un personaggio importante, e la dea Iside lo era...

Viste le dimensioni, c’è chi pensa che dovesse trattarsi di un acrolito, cioè di una statua con le carni di marmo bianco e le vesti di lamine di bronzo, o anche vera stoffa, su uno scheletro di legno. Era un acrolito il perduto Colosso di Costantino della Basilica di Massenzio, di cui restano enormi frammenti nel cortile di Palazzo dei Conservatori (la testa, la mano, un piede e altri pezzi di braccia e gambe);


I resti del "Colosso di Costantino", nel cortile dei Musei Capitolini sul Campidoglio a Roma, opera propria


Ricostruzione del "Colosso di Costantino", giardino di Villa Caffarelli sul Campidoglio. Opera propria.

ed era un acrolito anche la statua di culto nel Tempio di Iside a Pompei, di cui è stata ritrovata la testa marmorea.

Magari non è vero, ma è affascinante pensare che quel piede un po' rovinato, ignorato dalla maggior parte dei romani moderni, fosse della statua della grande dea egizia, che a Roma era molto venerata.

Per l'identificazione della statua ci può aiutare il fatto che il piede calza un sandalo? Non è così semplice.


Calzature romane

Le calzature romane si dividevano, come oggi, in scarpe aperte e scarpe chiuse. Quello che segue è un sintetico, e incompleto, elenco delle più diffuse.


Tra le scarpe chiuse ci sono i calcei, le calzature che i cittadini romani, di entrambi i sessi, dovevano portare in pubblico. Erano scarpe a stivaletto che coprivano il piede fino al malleolo e a volte anche parte del polpaccio; le dita potevano essere lasciate scoperte. Vi erano molti tipi di calcei, che con la loro forma e colore indicavano il rango sociale di chi li indossava. I calceoli femminili erano generalmente più bassi di quelli maschili, variamente colorati e molto più ornati.



Le scarpe militari erano le caligae (b). Erano caratterizzate da strisce di cuoio cucite alla suola, molto robusta e ferrata; queste strisce formavano una specie di rete attorno al piede, lasciando le dita scoperte; si allacciavano sopra la caviglia. L'imperatore Caligola, in realtà Gaio Giulio Cesare Germanico, era soprannominato così perché da bambino accompagnava il padre nelle spedizioni militari i Germania e indossava le scarpe dei soldati, delle piccole caligae.



C'erano poi dei veri e propri stivali chiusi, di vario tipo. Ad esempio i cothurni (c), che coprivano fino a metà gamba ed erano allacciati davanti con delle corregge. Erano le calzature preferite dagli attori, che le portavano con suole altissime.



Le calzature aperte più diffuse si chiamavano solae, sandalia (sandali), ed erano usate da entrambi i sessi, in particolare in casa. Le più semplici erano formate da una suola e da sottili strisce di cuoio che passavano fra l'alluce e il secondo dito, e si allacciavano dietro al piede.



Crepida (di origine greca) era chiamato il sandalo con la suola da cui si alzavano due fiancate con fori lungo il bordo; nei fori passavano dei lacci che fissavano la calzatura al piede. A volte queste fiancate erano formate da reticelle che rendevano la crepida ancora più leggera.

Secondo il galateo romano, uscire con i sandali era sconveniente, bisognava indossare i calcei. Ma una volta entrati in casa altrui, era sconveniente continuare ad indossare i calcei: bisognava mettersi i sandali (che venivano portati da casa o, nel caso di visitatori importanti, forniti dagli schiavi della casa di cui si era ospiti). Sui letti tricliniari, dove ci si sdraiava per mangiare, si stava a piedi nudi.

Il nostro pie' di marmo, se la vista non ci inganna, sembra calzare una crepida...

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