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L'imperfetto indicativo

Elogio dell'imperfezione

3 giugno 2006

da a1 a c2

Roberto Tartaglione

No

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(aggiornato dicembre 2023)



LA COMPIUTEZZA

Il tempo dell’indicativo che esprime compiutezza dell’azione è il perfetto che nella terminologia grammaticale italiana moderna corrisponde al passato prossimo e al passato remoto. Anche i due trapassati (prossimo e remoto) possono avere caratteristiche simili, ma sono tempi che in qualche modo "dipendono" dal perfetto e quindi dispongono di minore autonomia.

Il passato prossimo è il perfetto che ha maggiore frequenza d’uso nella lingua italiana parlata.

L’aspetto di completezza del passato prossimo - che esprime normalmente un’azione o un fatto ben determinato nei suoi termini di inizio e di conclusione - è così marcato in italiano da provocarne perfino un uso particolare, nel senso che può riferirsi a fatti presenti e anche futuri purché "compiuti".

In italiano, ad esempio, è normale l’espressione ho capito decisamente più usata di capisco. La spiegazione di quest’uso in termini "temporali" (ho capito un secondo fa e non proprio in questo momento) non può essere collegata all’esigenza di precisione cronologica dell’azione (cioè ho capito prima) perché in molti altri casi, il sistema grammaticale italiano si mostra assai più elastico e flessibile.

Ho capito in luogo di capisco si spiega invece in chiave aspettuale: L’azione di capire è completa e conclusa. In pratica dicendo ho capito voglio rendere l'idea che ho capito tutto, "ho finito di capire" e quindi non ho più bisogno di ulteriori spiegazioni. Dicendo capisco (cioè sto capendo) inviterei invece il mio interlocutore ad andare avanti con il suo discorso.

Allo stesso modo il passato prossimo mostra la capacità di sovrapporsi anche al futuro anteriore in frasi come stasera alle quattro ho finito, oppure uscirai quando hai mangiato, perché esprime la completezza di una azione anche quando è vista in un momento futuro.

LA DURATIVITÀ

Il presente e l’imperfetto indicativo hanno in comune la caratteristica di esprimere azioni o situazioni in corso. Tutti e due hanno i caratteri dell’incompletezza: una incompletezza molto evidente nel caso del presente (proprio perché si riferisce a un’azione colta nel suo svolgersi) e meno evidente forse nel caso dell’imperfetto, perché parlando di tempi passati qualunque azione appare ovviamente conclusa, specie agli stranieri che non hanno nella loro lingua tempi o modi verbali corrispondenti.

Se dico che

  • oggi è una bella giornata

è subito chiaro che sto parlando di qualcosa che non si è ancora esaurito; ma se dico che

  • ieri era una bella giornata

ecco che la parola incompletezza non basta più a spiegare l’uso dell’imperfetto, giacché la giornata di ieri si è certo conclusa per sempre.

Si può ancora aggiungere che il presente indicativo, oltre al suo aspetto principale che è quello di esprimere una azione in corso, ha anche aspetti secondari di carattere iterativo (esprime cioè anche una abitudine e una ripetizione e non solo un fatto occasionale, come nella frase io parlo francese) e serve ancora per esprimere verità e qualità durature (sono biondo) oltre a quelle istantanee. Il presente insomma comprende una vasta serie di possibilità espressive; perciò quando trasferiamo in un tempo passato qualcosa che abbiamo espresso al presente abbiamo almeno due possibilità: l'imperfetto o il passato prossimo. La scelta richiede attenzione.


San Gerolamo di Leonello Spada
Studiando l'imperfetto: Leonello Spada - St Jerome - XVII sec - Palazzo Barberini - opera propria

LA SITUAZIONE

Gli insegnanti di italiano a stranieri si affannano giustamente a cercare "una parola chiave" per illustrare l'imperfetto. Con qualche frustrazione, però. La parola incompletezza infatti non è sufficiente per definire il tempo imperfetto (e anzi per uno straniero può addirittura essere fonte di errore) e anche il termine duratività sembra più destinato a specialisti o a madrelingua che a studenti stranieri: gli stranieri infatti collegano spesso questa parola alla durata dell’azione e finiscono col privilegiare l’imperfetto per i tempi lunghi e il passato prossimo per quelli brevi (errore gravissimo).

Il termine situazione contrapposto a fatto pare invece più appropriato per introdurre la questione dell’imperfetto, non tanto per la sua chiarezza (perché si può discutere a lungo sul concetto "filosofico" di situazione e di fatto), ma perché tende a distinguere tra una funzione temporale e una aspettuale. Nella scelta fra passato prossimo e imperfetto, infatti, assai importante è la considerazione se l’azione espressa dal verbo sia avvenuta in un determinato momento e se questo momento possa addirittura avere una certa rilevanza ai fini della narrazione: in questo caso ci si indirizzerà verso un passato prossimo. Se invece la determinazione temporale non riveste particolare importanza o non è identificabile allora é più probabile l’uso del tempo imperfetto.

L’imperfetto di situazione, che raccoglie in sé gran parte dei casi che vedremo, é quello che costituisce lo sfondo, il panorama sul quale, in primo piano, avvengono i fatti espressi dal passato prossimo. In un racconto l’imperfetto rappresenta una buona introduzione per stimolare l’attenzione dell’ascoltatore e preparare il terreno a un’azione avvenuta che riteniamo importante comunicare:

  • Era una bella giornata, gli uccellini cantavano e la gente camminava felice: all’improvviso si è sentito un colpo di fucile.

Una frase di questo genere, in cui l’uso dei tempi può essere ulteriormente chiarito da una lettura fatta con l’opportuna intonazione della voce, risponde allo schema tipico con cui viene rappresentato graficamente l’imperfetto sulla linea del tempo:



Il segno ondulato, senza confini precisi (sulla linea del tempo blu) è l’imperfetto; il punto rosso é il passato prossimo, ovvero il fatto che si inserisce nella situazione. Lo stesso grafico si adatta perfettamente alle frasi introdotte da un mentre temporale in cui l’imperfetto rappresenta da un lato l’azione cominciata prima di un’altra (che é comunque passata) e dall’altro una situazione di sfondo in cui avviene un fatto.

  • Mentre passeggiavo ho incontrato un amico

Il termine situazione appare dunque estremamente funzionale (anche se non esaustivo) a raffigurare l’aspetto dell’imperfetto: ne esalta i valori di descrittività di immagine rispetto a quelli di azione e comprende in sé i valori di abitudine, di fatto ripetuto o solito, che pure hanno notevole importanza nel suo uso.


LA MUTABILITÀ

Vediamo però altri casi di utilizzazione dell’imperfetto partendo da due esempi:

  • (1) Lui è italiano

  • (2) Lui è un bell’uomo

In queste due espressioni viene usato il presente del verbo essere. In tutti e due i casi il valore temporale di questo presente è fortemente minimizzato, giacché in (1) si esprime una verità immutabile, che era, e sarà; in (2) si tratta di una qualità certamente mutabile, ma presumibilmente duratura e non legata a un preciso (matematico) arco temporale.

Sia (1) sia (2) sono comunque caratterizzati dal fatto che non si esprime una azione ma uno stato, un modo di essere, una condizione personale. Non sarebbe diverso il caso se al posto di lui ci fosse un soggetto diverso, un nome di città, di cosa o altro.

Se voglio riportare le due espressioni al passato la differenza fra l’immutabilità di essere italiano e la possibilità di modificazione della bellezza dell’uomo provoca differenti opportunità. In (1) infatti abbiamo l’unica possibilità di dire:

  • (1.1) Lui era italiano

e l’uso del passato prossimo sarebbe improprio o legato a situazioni estremamente particolari (lui è stato italiano per un determinato periodo; dopo la guerra la sua regione è stata assegnata a un altro Stato e lui ha cambiato nazionalità e passaporto: insomma una storia piuttosto contorta).

In (2) invece la forma più probabile al passato sembra certamente:

  • (2.1) Lui era un bell’uomo

ma non è tuttavia impossibile la formulazione:

  • (2.2) Lui é stato un bell’uomo

Dagli esempi viene fuori con chiarezza il fatto che l’imperfetto serve a esprimere una condizione, un modo di essere, uno stato fisico o psichico, diluito nel tempo passato o anche relativo a un periodo del passato. L’uso del passato prossimo, come in (2.2) rende questa condizione fortemente legata a un certo momento del passato e sottolinea la cessazione della qualità espressa.

Useremo quindi (2.2) solo se vorremo accentuare il tramonto definitivo della bellezza dell’uomo in questione, la brusca frattura fra passato e presente. L’imperfetto illustra invece l’evoluzione di questa condizione del passato, narrandola nella sua continuità.

L'ESSERE E IL FARE

Qualche esempio

(3.1) VOGLIO andare in Cina

(3.2) DEVO partire

(3.3) POSSO parlare chiaro

(3.4) SO queste cose

(3.5) CONOSCO quella persona

(3.6) CONOSCO questo problema

(3.7) AMO la musica

(3.8) HO una macchina

(3.9) HO paura

(3.10) SONO contento


Fra queste dieci frasi alcune hanno in comune fra loro il fatto di essere costruite su verbi che, riferiti a un tempo passato, possono cambiare significato a seconda della scelta d’uso di un imperfetto o di un passato prossimo. Il cambiamento di significato, è strettamente correlato con la questione del fare e dell’essere, ovvero con quella del fatto e della situazione. Con il verbo volere:

  • (4.1a) HO/SONO VOLUTO andare in Cina

  • (4.1b) VOLEVO andare in Cina

sono due frasi che manifestano nel primo caso una volontà realizzata, nel secondo un desiderio; chi dice ho voluto intende dire che in Cina c’è stato; chi dice volevo intende esprimere la sua condizione di persona desiderosa di andare: se poi sia andato davvero é cosa da vedersi.

Quindi:

  • (41a) Ho voluto andare in Cina = ci sono andato

  • (4.1b.1) Volevo andare in Cina = e poi ci sono andato

  • (4.1b.2) Volevo andare in Cina = ma poi non ci sono andato

  • (4.1b.3) Volevo andare in Cina = era un mio desiderio. Che io ci sia o non ci sia andato non è questa la questione

Lo stesso può essere osservato per le frasi con dovere:

  • (5.2a) SONO DOVUTO partire

  • (5.2b) DOVEVO partire

In un caso la persona è partita, nell’altro aveva il dovere di partire ma non sappiamo se l’ha fatto.

Quindi:

  • (5.2a) Sono dovuto partire = e sono partito

  • (5.2b.1) Dovevo partire = e poi sono partito

  • (5.2b.2) Dovevo partire = ma poi non sono partito

  • (5.2b.3) Dovevo partire = era un mio dovere. Che io l'abbia fatto o meno non è questa la questione


Con il verbo sapere il discorso é ancora più evidente giacché ho saputo significa che in un certo momento sono stato messo a conoscenza di un certo fatto da qualcuno. Sapevo significa tutt’altra cosa: la cosa che io sapevo faceva parte del mio bagaglio di conoscenze, da tempo, e non c’è nessun riferimento al momento in cui questa informazione mi veniva data. Per cui:

  • (5.3a) Ho saputo queste cose (da un mio amico, ieri alle tre)

  • (5.3b) Sapevo queste cose (già ne ero a conoscenza, tu non mi dici niente di nuovo)

Con il verbo conoscere abbiamo numerose possibilità: ho conosciuto può essere detto solo di persona e si fa riferimento proprio all’atto della presentazione. Conoscevo significa invece essere conoscente di qualcuno o a conoscenza di qualche cosa, cioè saperla. Quindi, trasferendo al passato la frase (5.4) potremo avere:

  • (5.4a) HO CONOSCIUTO quella persona

  • (5.4b) CONOSCEVO quella persona

laddove in un caso (5.4a) racconto del momento in cui io e quella persona siamo stati presentati e nell’altro (5.4b) sottolineo che fra me e quella persona esisteva già un rapporto di conoscenza.

In (5.5) invece avremo solo la possibilità di dire

  • (5.5a) CONOSCEVO il problema

giacché un problema non può esserci presentato così come una persona.

Non è però impossibile l'eventualità di una frase come:

  • (5.5b) Ho conosciuto quel problema

Tuttavia qui entriamo in un linguaggio figurato, cosicché conoscere assume il senso di confrontarsi o scontrarsi: ho conosciuto quel problema in gioventù significa che in un determinato periodo della mia vita ho dovuto confrontarmi con una questione. Diverso quindi dal dire conoscevo quel problema nel senso di esserne a conoscenza.

L’esempio (5.6) con il verbo potere trasferito al passato dà due distinte formulazioni:

  • (5.6a) HO POTUTO parlare chiaro

  • (5.6b) POTEVO parlare chiaro

sono due frasi che manifestano nel primo caso una possibilità realizzata, nel secondo una possibilità e basta; chi dice ho potuto parlare chiaro intende dire che lo ha fatto; chi dice potevo parlare chiaro intende esprimere la sua condizione di persona con la possibilità di parlare: se poi lo abbia fatto davvero é cosa irrilevante o comunque da accertare.

Quindi:

  • (5.6a) Ho potuto parlare chiaro = e ho parlato chiaro

  • (5.6b.1) Potevo parlare chiaro = e l'ho fatto

  • (5.6b.2) Potevo parlare chiaro = e ho preferito rimanere in silenzio

  • (5.6b.3) Potevo parlare chiaro = era una situazione in cui c'era libertà di parola. Che poi io abbia sfruttato o meno questa occasione non è rilevante in questo momento.

Il verbo avere al passato prossimo può significare ricevere, all’imperfetto possedere. Le due frasi seguenti sono perciò differentissime fra loro:

  • (5.7a.1) HO AVUTO una macchina (come regalo di Natale)

  • (5.7a.2) HO AVUTO una macchina (dal 2018 al 2023)

  • (5.7b) AVEVO una macchina (la possedevo ed ed ero felice per questo)

In (5.7a.1) il passato prossimo è l’unico tempo che può dare al verbo avere il significato di ricevere.

In (5.7a.2) e (5.7b) la differenza fra passato prossimo e imperfetto del verbo avere, sempre nel senso di possedere, si riaggancia ancora a quello che si era detto a proposito di fare e di essere, alla differenza cioè tra fatto e situazione. (5.7a.2) è un’informazione sul periodo in cui si è posseduta la macchina, è un fatto. (5.7b) è la condizione di chi possedeva una macchina.

Le ultime tre frasi sono caratterizzate dal fatto di manifestare un sentimento. L’imperfetto quindi indicherà la condizione di essere una persona che provava quei sentimenti, il passato prossimo sottolineerà il momento in cui sono stati provati (e richiederà forse anche una spiegazione del motivo per cui si sono provati).

Quindi:

  • (5.8a) SONO STATO contento (di avere detto quello che ho detto)

  • (5.8b) ERO CONTENTO (da bambino, come carattere)

  • (5.9a) HO AMATO la musica (in un certo periodo della mia vita quando frequentavo i concerti)

  • (5.9b) AMAVO la musica (ero un amante della musica, una persona sensibile)

  • (5.10a) HO AVUTO PAURA (quando ho sentito quel rumore improvviso)

  • (5.10b) AVEVO PAURA (ero in uno stato d'animo caratterizzato da paura normalmente o regolarmente in certe situazioni: da bambino avevo paura del buio)


Insegna di ristorante genovese che si chiama "Mugugno"
Il mugugno: tipica espressione di studenti che si sforzano di capire i misteri dell'imperfetto

L'EFFETTO FOTOGRAMMA

L’uso del tempo imperfetto in una frase come la seguente ha parecchi significati:

  • (6.1) Nel 1974 il Papa era Paolo VI

Il primo é certamente quello di raffigurare una situazione, un panorama in cui si svolgono certi fatti: per esempio potremmo dire che quando c’é stato il periodo del terrorismo, nel 1974 ad esempio, il Papa era Paolo VI.

Ma un aspetto assai importante, che sarebbe più evidente se aggiungessimo alla frase la parola ancora o la parola già è quello di indicare la parte di un tutto: Paolo VI insomma è stato Papa dal 1964 al 1978 e quindi nel ‘74 era ancora lui il Papa. Questo è importante per osservare che nella frase originale nel 1974 il Papa era Paolo VI quella data non é indicativa di un tempo compiuto, ma di un tempo che fa parte di un periodo più lungo.

E’ come se l’imperfetto cogliesse un fotogramma di una pellicola cinematografica:

  • (6.2) Alle cinque ero a casa

sta a significare che chi parla vuole esprimere un’immagine legata al prima e al poi, vuole segnalare un punto in una storia che si sviluppa. Tant’è vero che suonano assai logiche espressioni caratterizzate dalla parola ancora e del "contrario" già:

  • (6.2a) Alle cinque ero già a casa (sono tornato alle tre, se tu mi avessi telefonato alle 5 mi avresti sicuramente trovato)

  • (6.2b) Alle cinque ero ancora a casa (sono uscito alle sei, se tu mi avessi telefonato alle 5 mi avresti sicuramente trovato)

Da notare che perfino con una indicazione di tempo compiuto molto marcata (dalle 5 alle 6) c'è la possibilità di usare l'imperfetto:

  • (6.3a) Dalle 5 alle 6 sono stato a casa = sono arrivato alle 5 e sono uscito alle 6

  • (6.3b) Dalle 5 alle 6 ero a casa = certamente in quell'ora ero (già/ancora) a casa, ma probabilmente ero arrivato prima delle 5 e sono uscito più tardi delle 6. Non è importante quando io sono arrivato e quando sono uscito: è importante che in quell'arco temporale ero a casa.


Questa caratteristica dell’imperfetto, che abbiamo chiamato effetto fotogramma lo rende particolarmente adatto a raccontare una storia, una favola, un racconto, per rendere - con una certa volontà stilistica - ogni fatto parte di un tutto più complesso e in continua evoluzione. Per esempio vediamo un racconto di questo tipo, la trama di un film:

Il film racconta di un uomo che viveva a New York: un giorno dei teppisti gli uccidono la moglie e i figli. Sconvolto, l’uomo decide di farsi giustizia da sé. Va nella metropolitana della città e comincia a sparare a tutti i teppisti che incontra.

Ora si è usato il presente per rendere immediato il racconto.

Collocandolo la narrazione nel tempo passato è chiaro che potrei usare il passato prossimo, ma, come precisa scelta stilistica, l’imperfetto rende il racconto più sfumato e avvincente:

(nel film) Un giorno i teppisti gli uccidevano la moglie, lui decideva di farsi giustizia da sé e a un certo punto andava nella metropolitana...

Insomma, se uso il passato prossimo fornisco un’informazione, con l’imperfetto segnalo che il mio racconto coglie solo parte di un tutto più complesso e che forse io non posso descrivere con precisione.

Racconto insomma la storia quasi come un sogno (non a caso anche i sogni si raccontano spesso all'imperfetto) collocandola su un piano di indeterminatezza temporale.

Di qui all’imperfetto storico (Cristo nasceva in Palestina, Costantino emanava il suo famoso editto nell'anno 313 ecc.) il passo è breve.

Perfino un verbale dei Carabinieri in cui il fermato dichiarava che, faceva resistenza, rispondeva alla domanda non è distante - nella sua volontà stilistica da queste considerazioni.

Qualche volta insomma l’imperfetto "chiede scusa" per l'imperfezione, sottintende un “tra l’altro”, specie quando si riferisce al contenuto di un messaggio (e non a caso poi è il tempo privilegiato nel discorso indiretto):


L'IRREALTÀ

L’imperfetto del resto serve anche a indicare un qualcosa che poteva o doveva succedere ma non è (ancora) successo, un fatto non reale in generale, nel passato, nel presente o nel futuro.

In particolare richiedono l'imperfetto indicativo le frasi caratterizzate da "introduttori di evento non accaduto" (quasi quasi, a momenti, per poco):

  • (7.1) Quasi quasi cadevo / Per poco cadevo / A momenti cadevo

Stesso valore attribuiamo alla frequentissima espressione che usiamo quando "quasi quasi" stavamo dimenticando di dire una cosa e all'ultimo momento ci ricordiamo di dirla. Introduciamo la cosa "quasi dimenticata" dicendo:

  • (7.2) Ah, dimenticavo!...

Questa relazione fra imperfetto e "irrealtà", espressione di un evento "non realizzato o non realizzabile" determina spesso la interscambiabilità fra uso dell'imperfetto e uso del condizionale. In particolare la possibilità di usare l'imperfetto nelle frasi ipotetiche (di registro informale):

  • (7.3) Se lo sapevo te lo dicevo certamente (te lo avrei detto)

  • (7.4) Sapendolo te lo dicevo certamente (te lo avrei detto)

  • (7.5) A saperlo te lo dicevo certamente (te lo avrei detto)

  • (7.6) Non vieni alla festa? Peccato... sono sicuro che ci divertivamo (sono sicuro che - se tu fossi venuto - ci saremmo divertiti)

L'imperfetto nelle ipotetiche sostituisce anche il congiuntivo nelle frasi di registro colloquiale e anche in quelle "interrotte":

  • (7.7) Ah, se ero ricco...!

  • (7.8) Solo ora me lo dici? Non posso fare più niente ora! Se me lo dicevi prima...

Tipico esempio di imperfetto che esprime irrealtà e addirittura fantasia è quello dei bambini che si assegnano un ruolo per i giochi:

  • (7.9) Facciamo che io ero il re e tu la regina!

  • (7.10) Giochiamo che io ero un pirata e ti rapivo?

  • (7.11) No non voglio fare il bandito: io ero lo sceriffo!


Potremmo includere nella categoria dell'irrealtà anche il cosiddetto imperfetto di cortesia.

  • (8.1) Volevo un caffè

Il caso (8.1) non pone l'accento sulla volontà di avere un caffè, quanto piuttosto sul desiderio di averlo. In pratica la differenza fra vorrei e volevo consiste in questo: vorrei un caffè è un desiderio condizionato (vorrei, se lei fosse così gentile da farmelo); volevo è solo un desiderio, esposto così, senza condizioni (esagerando un po' è come dire: io ero desideroso di un caffè: se lei me lo fa lo berrò volentieri, altrimenti amici come prima).

Infatti se questa considerazione vale per il cliente di un bar, lo stesso linguaggio non potrà essere usato dal barista. Il barista potrebbe certo domandare "Lei cosa voleva?" (e in questo caso sarebbe come dire quali erano i suoi desideri quando è entrato in questo bar? Io sarò felice di esaudirli!).

Ma non potrebbe non essere carino se il barman domandasse Lei cosa vorrebbe (In questo caso infatti potrebbe avere anche il senso di invitare il cliente a andarsene: "cosa chiederebbe se io - e mi pare improbabile - avessi voglia di lavorare per lei?". Stiamo appunto esagerando un po' per essere chiari ma i nostri lettori ci capiranno)

L'IMMINENZA

La forma STARE PER + infinito (per esempio sto per partire) trasferita al passato richiede quasi sempre l'uso dell'imperfetto (stavo per partire). Questo perché anche l'imminenza di una azione che deve realizzarsi nel passato non può essere resa da un passato prossimo (che esprime completezza) ma necessariamente da un tempo o un modo non-perfetto.

Talmente forte è questo uso dell'imperfetto nel presentare una azione di imminenza che, specialmente nel parlato, non è raro trovarlo in un registro colloquiale anche al posto di un condizionale composto, il tempo verbale che esprime il "futuro del passato":

  • (9.1) Ha detto che sarebbe venuto - Ha detto che veniva

  • (9.2) Ho immaginato che saresti tornato subito - Ho immaginato che tornavi subito

CONCLUSIONI

La conclusione di quanto detto fino a questo punto è che non si può concludere qui. Troppi sarebbero ancora i casi da analizzare su questo argomento (sono buffi gli studenti stranieri quando dicono di pensare che il congiuntivo sia difficile: altro che congiuntivo! L'imperfetto sì che è difficile, se non impossibile!)

Tanto per confondere definitivamente le idee ai lettori di MatDid facciamo ancora un paio di esempi che riguardano le poche certezze che uno studente straniero ha riguardo all'uso dell'imperfetto.

Una certezza è che l'imperfetto si usa regolarmente dopo il MENTRE temporale.

L'altra certezza è che STARE PER + infinito, trasferito al passato, richiede l'uso dell'imperfetto del verbo stare.

Ebbene ecco qui due esempi fatti apposta per rompere le uova nel paniere:

(10.1) L'omicidio è avvenuto proprio mentre il fratello della vittima gli ha telefonato

(10.2) Almeno un paio di volte sono stato per mettermi a piangere

Come si spiegano questi due strani casi?

Be', non è difficilissimo. Ma non possiamo mica risolverli tutti oggi i problemi dell'umanità.

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