Le medicine
Io e le medicine
7 ottobre 2012
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Roberto Tartaglione
No
(aggiornato novembre 2023)
Da bambino amavo le medicine. E le medicine amavano me. Infatti con me funzionaveno sempre.
Da piccolo, se facevo i capricci, mia madre mi dava uno sciroppo calmante, il Calcibronat: era buonissimo. Qualche volta facevo i capricci solo per prenderne un cucchiaio. E poi c’erano anche le compresse per aiutare gli studenti a essere più bravi a scuola. Ne ho prese parecchie. E infatti a scuola andavo benino.
Ho un buon ricordo anche di qualche vaccino, non tanto per il suo sapore, quanto perché te lo davano sciolto sulle zollette di zucchero. Delizioso.
Come tutti, ho sempre avuto nell'armadietto delle medicine una confezione di Vix, la cremina profumatissima che si spalma sul petto o sulle spalle quando uno ha la tosse o il raffreddore. Ovvio che come terapia serve a poco, ma quanto è bello farsi fare un massaggino? Certo, per la tosse c’è anche lo sciroppo con il suo delizioso sapore di caramella alcolica... ma il massaggio con il Vix mi piaceva di più. Con l’Aspirina il rapporto è di amore profondo e anche di stima: la usavo per la febbre, per i dolori alle ossa, per la stanchezza, per il mal di testa, per il mal di denti, come antidepressivo e anche contro la caduta dei capelli (in questo caso con risultati così così). Ma parliamo solo di Aspirina C effervescente, quella con il sapore frizzante e pungente delle sue bollicine che saltellano allegramente nell’acqua naturale ben fredda, quasi come champagne! (Lo so, adesso vanno di moda i "farmaci equivalenti": stesso principio attivo ma costano meno. Scherziamo? Io bevo solo champagne di marca e non ho mai tradito la mia Aspirina C!)
Le iniezioni invece le detestavo: non soltanto perché fanno male, ma anche perché non hanno sapore, non senti niente altro che un ago che ti punge. E poi per fare le iniezioni bisognava sempre chiamare una vicina di casa che sapeva farle, che veniva a casa tua, che chiacchierava (troppo) mentre tu stavi lì col sedere in esposizione e tremavi nell’attesa della terribile puntura (e quella intanto ti diceva con la sua voce da gallina "Rilassa il muscolo della gamba! Se sei così rigido si spezza l'ago e ti faccio male!"). La prima volta che ho detto una “parolaccia-grossa” in vita mia è stata a una vicina di casa che mi aveva fatto un’iniezione. “Stronza!!!” le ho gridato con tutta la voce che avevo in gola, sconvolgendo l’intera mia famiglia sicura che un bravo bambino come me quella parolaccia non la poteva conoscere. Per prudenza la mia mamma mi ha dato per una settimana due cucchiai di Calcibronat al giorno. Fantastico. Deve essere per questo che non ho più smesso di dire parolacce.
Gli antibiotici, devo dire la verità, quelli non mi sono mai piaciuti molto perché sono sostanzialmente insapori: adoravo però il fatto che si debbano prendere a orari fissi, con una precisione religiosa, in un'atmosfera magico-rituale che mi ha sempre affascinato. In particolare se devi prenderne uno ogni 6 ore e prendi il primo per esempio alle tre del pomeriggio, il secondo è la sera alle nove: e il terzo? Bisognava svegliarsi la notte alle tre: anzi, la mamma doveva svegliarti alle tre, portarti antibiotico e bicchier d’acqua: poi ti appoggiava dolcemente una mano fresca sulla fronte per sentire se scottavi, e tu mandavi giù la medicina un po’ intontito di sonno e di febbre. Un momento bellissimo ed emozionante.
Un'emozione simile a quando tiravi fuori il termometro da sotto l’ascella e controllavi la colonnina di mercurio per vedere a che numeretto arrivava (maledetta Unione Europea... hanno vietato i vecchi termometri al mercurio! Ma io per fortuna viaggio anche nei paesi extracomunitari e ho comprato abbastanza termometri al mercurio per sopravvivere almeno altri cinque o sei anni!)