Note sul turpiloquio
Brevi considerazioni sull'uso della parolaccia
22 aprile 2001
b1
Roberto Tartaglione
No
(aggiornato novembre 2023)
Il turpiloquio fino a qualchedecennio fa era esclusivo appannaggio della "società maschile" e si riteneva di pessimo gusto dire "certe parole" in presenza delle "signore". Successivamente le parolacce sono entrate nel linguaggio parlato un po' a tutti i livelli, non solo fra i giovani, non solo fra uomini e donne, ma per colorire discorsi o espressioni particolari, anche per radio, per televisione o sui giornali non è raro trovare parole che un tempo si ritenevano impronunciabili.
Tre sono i tipi di "espressioni volgari" usate: la bestemmia, la parolaccia e l'imprecazione. La bestemmia, un'offesa contro dio, è sentita anche da un orecchio italiano come un'espressione estremamente pesante e volgare: di rado viene scritta, quasi mai pronunciata per televisione, e poco anche nel cinema. Tuttavia in alcune regioni la bestemmia ha assunto quasi un valore di imprecazione: in Toscana e in Veneto, specialmente, il suo uso è piuttosto diffuso e ne è prova il fatto che in alcune strade di queste regioni ancora troviamo antichi cartelli che invitano i passanti a "non bestemmiare".
La parolaccia vera e propria ha invece il significato di un insulto contro una persona. Tuttavia il suo uso così frequente (perfino in senso positivo, quasi come complimento!) ha molto sminuito la sua violenza. Valga per tutti l'esempio di una tipica parolaccia diffusa a livello nazionale, ma specialmente a Roma, figlio di mignotta (da figlio di madre ignota), usata contro una persona per darle del "bastardo". Questa, che pure pronunciata con durezza è un'offesa abbastanza grave, ha poi in romanesco una connotazione quasi affettuosa: infatti, per tradizione, i bambini figli di nessuno sono persone particolarmente furbe, abilissime nell'arte di arrangiarsi, dinamiche e scaltre, abituate come sono a lottare con la vita giorno per giorno. Per questo, non di rado, questa espressione viene rivolta a un amico furbo, che ha dimostrato la sua scaltrezza in qualche occasione speciale. Ma attenzione, se questo vale per una regione (il Lazio), non è la stessa cosa per un'altra e per esempio in Sicilia la stessa frase può suscitare giustamente una reazione pesante dell'interlocutore. Esistono poi parolacce che, diffuse a livello nazionale e così logorate dall'uso continuo, hanno perso il loro significato originario acquisendone decisamente un altro: casino, per esempio, ha quasi sostituito il termine confusione, caos disordinato, perdendo il suo significato di "casa di tolleranza", "bordello". Ha dato tra l'altro numerosi derivati: fare casino, confondere le cose; incasinato, essere confuso; casinista, disordinato nel pensare o nell'agire. Ma se quest'ultima parola ancora conserva qualche barlume di volgarità e se ne sconsiglia l'uso in occasioni che non siano estremamente colloquiali, diverso è il caso del verbo fregarsene che ormai da tempo ha sostituito il verbo "infischiarsene" perdendo completamente ogni riferimento al suo significato etimologico. Già era usato provocatoriamente dalla propaganda fascista e i bambini appartenenti all'organizzazione dei "Figli della Lupa" portavano scritto sulla camicia nera "Me ne frego della morte". E d'altra parte "me ne infischio" avrebbe dato un significato molto meno virile e deciso all'espressione.
L'imprecazione, ovvero la parolaccia usata solo per esprimere il proprio disappunto, o anche impiegata come intercalare, senza voler offendere nessuno e senza più nessun vero significato letterale, se non quello di esprimere rabbia, sorpresa, gioia, dolore e comunque un'emozione forte. Di questo tipo di parolaccia abbiamo esempi in tutte le lingue come in tedesco, in cui la parola Scheisse! non ha alcun valore semantico se non quello di mostrare la propria rabbia, corrispondente al francese merde! e all'italiano cazzo!, privo di qualunque riferimento sessuale e esclusivamente usato a mo' di imprecazione o di intercalare.
Naturalmente per lo studente straniero, che in Italia ha presto l'occasione di conoscere varie forme di turpiloquio, è consigliabile un apprendimento esclusivamente passivo di questo, perché difficilmente (a meno di non soggiornare lungamente in questo paese) potrà imparare a dosare con esattezza la maggiore o minore gravità di determinate parolacce e l'opportunità di proferirle senza rischiare una brutta figura o una reazione anche vivace dell'interlocutore. Infatti, se è vero che esiste perfino un "uso aristocratico" del turpiloquio (per esempio nei salotti bene) o anche un uso "intellettuale", per cui queste parole sono proferite quasi con affettazione, esiste sempre la parola "impronunciabile" che può bollare col marchio della volgarità chi l'abbia detta. Ma anche lo stesso criterio della "impronunciabilità" in italiano è dettato più dal contesto che non dalla parola in sé.
(da Lingue Italiane, di Giulia Grassi e Roberto Tartaglione, CI.ELLE.I Edizioni, Firenze 1985)