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Scandali del passato

Antichità oscene nel Museo Archeologico di Napoli

22 aprile 2001

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Giulia Grassi

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Nel giugno 2000 ha riaperto al pubblico una sezione molto particolare del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, quella con i reperti di soggetto erotico: affreschi, sculture, mosaici, amuleti e utensili, per lo più provenienti dagli scavi nell'area vesuviana.

Gli antichi Greci e Romani, si sa, avevano con il sesso un rapporto molto libero e giocoso. Naturalmente parliamo degli uomini, perché le donne (quelle libere e di buona famiglia) erano tenute ad essere modeste e virtuose, condizione non difficile da raggiungere visto che vivevano segregate in casa, prima del padre e poi del marito. Il fine di ogni moglie perbene era tacere e partorire un mucchio di figli, preferibilmente maschi: la donna più celebre del mondo romano è Cornelia, madre per ben 12 volte ed esempio di semplicità e rigore (diceva che i suoi gioielli erano i suoi figli).

Chiusa la porta di casa dietro le spalle, gli uomini potevano dedicarsi al lato piacevole del sesso, senza l'ossessione della procreazione. E le possibilità erano numerose. L'omosessualità non era considerata un vizio o una perversione, la bisessualità era accettata (basti ricordare Alessandro Magno, Giulio Cesare e l'imperatore Adriano). Ci si poteva divertire con fanciulli e con prostitute, scegliendo fra porne (prostitute di basso livello, solitamente schiave), pallake (l'amante fissa) ed etera (compagna), donna colta, raffinata, esperta nell'arte della seduzione. Una delle più celebri etere dell'antichità è Frine, che il grande scultore classico Prassitele scelse come modella per la statua dell'Afrodite cnidia.


Scena erotica tra un satiro e una ninfa, mosaico da Pompei, I secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico); pittura oscena da Pompei; opera propria

Un'idea della sessualità nel mondo antico ce la offre proprio la raccolta nel Museo napoletano. Ci sono molti affreschi e mosaici: in genere quelli provenienti da abitazioni private (domus) hanno come tema gli amori di ninfe e satiri, degli dei (ad esempio Venere e Marte) o di quel grande conquistatore che è stato Giove; quelli con rappresentazioni molto realistiche di sesso provengono per lo più dalle case di appuntamento e dai bordelli.

Moltissime le statue. A parte quelle di Venere, ovviamente nuda, ci sono satiri e ninfe mentre si accoppiano, immagini di Ermafrodito, simbolo di ambiguità sessuale, e un gruppo marmoreo veramente malizioso che rappresenta il dio Pan mentre si accoppia con una capretta.


Opera propria

Numerosissimi gli oggetti. Specchi in bronzo, vasi attici a figure rosse, lucerne in metallo e terracotta, campanelli, candelieri, flaconi per il profumo, bracieri: tutti con immagini erotiche più o meno esplicite, in alcuni casi dichiaratamente oscene.

Molte, infine, le immagini di Priapo, custode degli orti e delle vigne. Priapo è sempre rappresentato con un fallo enorme, in erezione, ma il significato dell'immagine non è tanto erotico quanto religioso: il forte rilievo del fallo aveva lo scopo di scacciare gli spiriti maligni, dannosi per i raccolti. Inoltre poteva avere la funzione pratica di spaventapasseri.



Uno scopo analogo hanno gli amuleti a forma di fallo, utilizzati contro il malocchio o, ancora, come augurio di fertilità (ed è il caso anche di quelli a forma di utero o di seno).



Rilievo con scena erotica da Pompei, marmo, I secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico); amuleti osceni; opera propria

La raccolta napoletana è una raccolta storica: la prima esposizione di questi oggetti un po' scandalosi risale infatti al 1794, nella sala XVIII del Museo di Portici, detta "delle antichità oscene" e visitabile solo con un permesso speciale. Da allora è stata tutta una storia di aperture e chiusure, di censure e di liberalizzazioni per questa sezione "segreta".


Bronzetto di Priapo che si versa addosso il contenuto di una bottiglietta di profumo, da Portici, I secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico) ; Bassorilievo in travertino con fallo portafortuna e la scritta "Hic habitat felicitas" (Qui abita la felicità), da Pompei, I secolo d.C. (Napoli, Museo Archeologico); Pan e Dafni. Marmo, copia romana da un originale greco di Eliodoro (III-II sec. a.C.). Collezione Farnese, Museo archeologico nazionale di Napoli. Opera propria

 

Nel 1819 nel Museo Archeologico fu aperto il "Gabinetto degli oggetti osceni": oltre alle pitture e agli oggetti, tutte le Veneri nude del museo vennero progressivamente chiuse in questa stanza proibita, e non di rado le nudità vennero censurate, nascoste da vesti in stucco. Per vederli era necessario un permesso speciale.

Una breve liberalizzazione ci fu tra il 1848 e il 1849, ma subito dopo tornarono le restrizioni alla visita finché, nel 1851, tutte le opere "oscene" non vennero chiuse in due stanze-deposito e, per maggior sicurezza, la porta di accesso venne murata.

Nel 1860, dopo la caduta dei re Borboni e l'arrivo di Garibaldi, il "Gabinetto degli oggetti osceni" venne riaperto: accesso libero per gli uomini, con un permesso speciale per le donne e i preti, vietato per i fanciulli. Ma ancora una volta la libertà durò poco: i re Savoia dapprima tornarono alle limitazioni nell'accesso, poi nel 1931, in pieno clima fascista, l'ingresso venne vietato a tutti.

Anzi, la furia "moralizzatrice" era talmente forte che nelle domus nell'area archeologica di Pompei gli affreschi di soggetto erotico vennero coperti con sportelli di legno e addirittura vennero aggiunte porte per chiudere stanze dipinte con scene vietate. Ma si sa, durante il fascismo la donna era come nel mondo antico, una fattrice di eroi, mentre i maschi si divertivano nei bordelli.

Bisogna arrivare al 1967 perché la sezione venga di nuovo aperta, ancora una volta per poco tempo: infatti furono avviati dei restauri, arrivati a conclusione proprio nel giugno del 2000.

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