Le strade di Roma
Il sistema stradale nel mondo romano
Sì
I Romani posero ogni cura in tre cose soprattutto, che furono dai Greci neglette, cioè nell'aprire le strade, nel costruire acquedotti e nel disporre nel sottosuolo le cloache (Plinio il Vecchio)
Generalità
La rete stradale creata dai romani formava un “sistema” molto importante per l’amministrazione dei territori sottomessi: sappiamo dai ritrovamenti archeologici e dalle fonti storiche che la costruzione delle strade e le conquiste militari di un territorio procedevano di pari passo.
Altri popoli antichi sono stati grandi combattenti e conquistatori come i romani, o hanno creato, come loro, monumenti architettonici e opere d’arte di grande rilievo. Ma è esclusivo dei romani l’aver creato una rete viaria complessa, articolata, che permetteva di collegare (qualcuno ha scritto “di ingabbiare”) tutte le zone dell’impero: nel periodo di massimo splendore pare che questa rete di viae raggiungesse i centomila chilometri.
Molte strade romane sono ancora oggi utilizzate anche se costruite un paio di millenni fa. Questo perché progettate in modo avveniristico, tanto che solo nella seconda metà del XX secolo le autostrade saranno pensate in modo simile: preferiti i rettilinei ai tornanti; superati i dislivelli grazie a opere ingegneristiche come ponti a parecchie arcate, gallerie, tagli di coste rocciose.
I nomi delle strade romane rivelano spesso la loro funzione originaria: la via Salaria era destinata al trasporto del sale; sull'Argentea, in Iberia (Spagna), si svolgeva il traffico del prezioso minerale.
Altre erano identificate dall'area geografica in cui avevano la loro origine o il loro termine: così la via Ostiense, da Ostia, la via Ardeatina, da Ardea, la Tiburtina, da Tibur, la Nomentana, da Nomentum.
Per lo più, però, il loro nome ricorda colui che ne promosse la costruzione, come la via Appia, da Appio Claudio Cieco (312 a.C.), la via Flaminia, da Caio Flaminio (223-219 a.C.), la via Emilia, da M. Emilio Lepido (175 a.C.).
Il sistema stradale romano interessò tutta l'area dell'impero, dalla Britannia all'Africa settentrionale, dall'Iberia alle province danubiane e del Vicino Oriente.
La costruzione di un così imponente sistema di opere pubbliche, di tracciati stradali, di ponti, gallerie e viadotti, fu un lavoro immenso, realizzato quasi sempre in condizioni inumane, ad opera di militari, prigionieri di guerra, schiavi o criminali, che periodicamente si ribellavano, con rivolte spesso sanguinose.
I vecchi tracciati tra Roma e i centri laziali (le vie Laurentina, Safricana, Ardeatina) erano tortuosi, pieni di variazioni di quota, ricchi di irregolarità di profilo. Il loro fondo, quasi sempre in terra battuta, talvolta era stato scavato direttamente nella roccia, ed in qualche caso veniva rinforzato con ghiaia compressa.
L'introduzione di nuovi criteri e di nuove tecniche di ingegneria stradale viene fatta risalire al 312 a.C., quando si realizzò la costruzione della Via Appia ad opera di Appio Claudio Cieco, lo stesso costruttore del primo acquedotto di Roma (l'aqua Appia) come riportano Livio e Diodoro Siculo. Significativo fu l'abbinamento di strade e acquedotti, perché due strutture con funzioni così importanti per il vivere civile e per il progresso camminano l'una accanto all'altra.
Tecnica costruttiva
Il sistema costruttivo di una strada romana era piuttosto complesso. Per prima cosa, venivano definiti i margini e scavata profondamente la terra per liberare la zona che successivamente sarebbe stata occupata dalla carreggiata. All'interno dello scavo si sistemavano quindi quattro strati sovrapposti di materiali diversi (viam sternere):
(La Via Appia Antica, fig. pag. 98)
lo statumen, la massicciata di base, composta di blocchi molto grandi e alta non meno di 30 cm;
la ruderatio, fatta da pietre tondeggianti legate con calce, il cui spessore non era mai inferiore a quello della massicciata;
il nucleus, uno strato di grossa ghiaia livellato con enormi cilindri;
il pavimentum, ossia il rivestimento, generalmente in grossi massi di silex, una pietra basaltica di eccezionale durezza e sostanzialmente indistruttibile: i "basoli", da cui la definizione di basolato per indicare la pavimentazione.
La parte centrale della carreggiata era inoltre a schiena d'asino, per favorire il deflusso dell'acqua piovana lungo i marciapiedi per mezzo di cunicoli e canalette di scolo.
La larghezza media di una strada romana andava dai 4 ai 6 metri - eccezionalmente 10-14 metri - per permettere l'incrocio di due carri, a seconda dei luoghi e dell'importanza della viabilità; mentre i marciapiedi, di terra battuta oppure lastricati, erano larghi dai 3 ai 10 metri per parte.
Ponti e viadotti permettevano di superare fossati e corsi d'acqua; abbreviando i percorsi, essi evitavano di disegnare larghe curve fatte di salite e discese in opposte direzioni.
La capacità di virata degli assali anteriori dei carri imponeva il raggio di curvatura tra i 5 e gli 8 metri, mentre le pendenze massime non dovevano superare il 20%.
Per saperne di più:
R. KNOBLOCH, Il sistema stradale romano. Genesi ed evoluzione, «Insula Fulcheria», 40/B (2010), pp.9-30
Le strade dell'Italia romana, Touring Club Italiano, Milano 2004
La via Appia Antica, «Bell’Italia», 79 (novembre 1992), pp. 80-107, 152-153
G. RADKE, Viae publicae romanae, Bologna 1981 (ed. ted. 1971) Cursus publicus
L. LEMCKE, Imperial Transportation and Communication from the Third to the Late Fourth Century: The Golden Age of the cursus publicus. A thesis presented to the University of Waterloo, Ontario, Canada, 2013
C. CORSI, Le strutture di servizio del cursus publicus in Italia: Ricerche topografiche ed evidenze archeologiche, BAR International Series 875 (2000)